In un’epoca in cui il videogioco spesso rincorre la spettacolarità e l’infinità del contenuto, Mafia: The Old Country si presenta con un’ambizione diversa: raccontare una storia. Ma non una storia qualsiasi, e neanche un semplice prequel. Questo titolo è un viaggio dentro la terra, il sangue e l’onore spezzato della Sicilia dei primi del Novecento.
Il gioco non ha fretta. Anzi, chiede pazienza. Ci fa iniziare dal basso – letteralmente – con Enzo Favara, carusu nelle solfatare. Un ragazzo che respira polvere e subisce umiliazioni, finché non viene risucchiato, quasi per necessità, dentro il mondo della mafia. E quando quel mondo si apre, non ha nulla di mitologico: è una rete di dolore, tradizioni, compromessi e illusioni.
Una Sicilia vera, aspra e poetica
L’ambientazione è il cuore pulsante del gioco. Non c’è bisogno di mappe immense o mondi da esplorare in libertà: basta camminare per i vicoli di un borgo arroccato per sentirsi dentro la storia. Le architetture in pietra, le colline dorate, le chiese, le botteghe... tutto è reso con una cura quasi reverenziale. E poi c’è il sonoro: le voci in dialetto siciliano, i canti popolari, i rumori dei carretti, le urla lontane nei vicoli. È un’esperienza sensoriale che non ti vuole stupire, ma immergere. Qui la Sicilia non è uno sfondo: è un personaggio. Vivo, duro, commovente.
Uomini spezzati, legami proibiti
La trama è asciutta ma potente. Enzo è un protagonista tragico, destinato a scegliere continuamente tra ciò che è giusto e ciò che è possibile. L’amore per Isabella, figlia del Don, non è una parentesi romantica, ma una ferita costante: qualcosa che dà senso alla sua vita e allo stesso tempo la rende più fragile. Attorno a lui ruotano figure che non sono mai banali. Uomini impassibili, padri ombra, amici perduti. Nessuno è davvero innocente, nessuno è davvero malvagio. Il gioco non giudica: mostra. Ed è proprio questa neutralità narrativa che colpisce più di ogni plot twist.
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